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GIANLUCA TESTA, NUOVO VOLTO DELL’ HORROR MAD (E) IN ITALY

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Gianluca Testa, eclettico attore e regista  30 enne, non smette mai di cercare strade nuove e sperimentare diversi linguaggi.Dopo un’intensa attività teatrale e ruoli in celebri fiction RAI e MEDIASET, si dedica al cinema indipendente d’autore con storie e personaggi mai convenzionali, che lo rendono un vero outsider del cinema italiano. Ma la sua attività non si limita alla recitazione e alla regia: spazia infatti dalla scrittura alla composizione musicale, e si estende anche al mondo della formazione, come acting coach, trainer di PNL, autore di progetti internazionali di Teatro d’Impresa e show formativi nel campo della comunicazione.

Oggi parleremo del tuo ultimo film da protagonista, di prossima uscita negli Stati Uniti, con la distribuzione Elite Entertainment, etichetta cult di La notte dei morti viventi di Romero e Re Animator: MAD IN ITALY di Paolo Fazzini. Cosa puoi anticiparci su questa pellicola?

   

Mad in Italy è un film d’autore che si serve del linguaggio dell’horror per raccontare un problema attuale, con uno stile molto personale, senza preoccuparsi di compiacere lo spettatore in modo facile. Il film parla della crisi, che si rispecchia in un trentenne che viene licenziato e sta per perdere la casa. La situazione di partenza è comune a molti giovani precari che oggi hanno un futuro incerto.A Davide accadono una serie di eventi terribili, Il mondo gli si accanisce contro e lui ha due soluzioni: soccombere o reagire. Decide di reagire, ma ovviamente lo fa scegliendo una strada oscura e malata, socialmente, moralmente e umanamente inaccettabile.

Davide è un “serial killer”.  In che modo hai pensato di interpretare il personaggio?

Per interpretare Davide ho cercato di viverne le motivazioni e ricrearne il disagio, senza giudicarlo. La sfida, quando interpreti un personaggio che rappresenta il male, è riuscire a trovarne il lato umano attraverso i filtri della sua percezione del mondo e della realtà. Credo sia la strada più efficace per renderlo “vero”.

Davide non è il tuo primo ruolo di serial killer.. quali sono le differenze con il  protagonista del thriller A sei giorni dalla fine, che hai interpretato nel 2008?

Ho interpretato ruoli solo lontanamente simili in altre pellicole. Roberto di A sei giorni dalla fine è completamente diverso da Davide di Mad in Italy, l’unica cosa in comune è un male oscuro che li tormenta, spingendoli verso il baratro.

Vieni spesso scelto per interpretare ruoli di “cattivo”.  E’difficile interpretare personaggi così estremi?

 
 

Sono i ruoli più interessanti. Mi affascina l’oscurità, ciò che c’è dietro. Davide, ad esempio, trova un suo personale modo di reagire al mondo che si accanisce contro di lui. E lo fa senza rendersi conto del male.  Ad un certo punto vede questa ragazza e la identifica come soluzione di tutti i suoi problemi. Crede che dominandola acquisterà il potere. Davide è completamente in balia degli altri, degli eventi esterni, lo scopo delle sue azioni è recuperare il potere. Il personaggio giunge a fare cose folli quasi inconsapevolmente,  come se si sdoppiasse,  avesse due anime: una normale, pubblica,  ed una malata, che mostra solo alle sue vittime. Davide è schizofrenico, e chi soffre di schizofrenia a volte perde il senso della realtà e si sente spaventato, confuso. Un tratto tipico di questo disturbo è che l’altro diventa un enigma indecifrabile, genera ansia, portando ad una serie di meccanismi compensatori che si traducono in comportamenti psicotici. Ma Davide va oltre.

 Like a ChrisalisSimphony in blood red distribuito in Germania e negli USA con la presentazione di Dario Argento ,  La progenie del diavolo, Diamante, A sei giorni dalla fine, Inanna Hotel, Voce dall’inferno, Calibro 10 con Franco Nero, Il vento tra le mura, L’Italia ci appartiene, Non da sola, 8mm e molti altri. Dopo aver interpretato più di venti film indipendenti come protagonista, la maggior parte dei quali di genere horror e thriller, e quasi un centinaio di cortometraggi, ad appena trent’anni sei ormai un nome di riferimento nel cinema indi italiano. Come funziona la distribuzione di questo tipo di prodotti?

Il vero problema è che su una ventina di film “indipendenti” girati, solo la metà sono usciti in sala in Italia, destinati per lo più a circuiti alternativi, con scarsa visibilità. La maggior parte hanno però ottenuto distribuzione in altri paesi europei, negli Stati Uniti ed in Asia.Poi, bisogna chiarire cosa si intenda per indipendente. Negli Stati Uniti si girano film indipendenti con milioni di dollari. Qui “indipendente” molto spesso è un eufemismo, significa: “low budget”.

Come funziona il finanziamento dei progetti indipendenti?

   

Purtroppo la produzione cinematografica, a differenza di altre arti, è qualcosa di indissolubilmente legato ai soldi.  Non è come produrre un racconto, una canzone, o dipingere un quadro. Il destino di un progetto  è legato a chi cercherà di investire e commercializzarlo come prodotto.Nell’Estate del 2008 due giovani e talentuosi  filmmaker bergamaschi mi contattarono, dopo avermi visto in una fiction, per interpretare il protagonista del loro lungometraggio: Routine. Mi dissero che con il piccolo budget a disposizione potevano garantirmi solo un rimborso spese ed una quota di proprietà del film.  Alex, il protagonista, era un angelo che nell’arco di una giornata assumeva le sembianze di 5 differenti personaggi per aiutare altrettante persone. Accettai perché la sceneggiatura era straordinaria ed anche perché raramente ad un attore capita l’occasione di interpretare non solo uno, ma ben 5 protagonisti nello stesso film. Durante le riprese, a Milano,   arrivai a tuffarmi in un frigorifero vuoto, sotto la neve, in pieno inverno.  Ne uscì un piccolo gioiello che nel 2010 catturò l’interesse di Mimmo de Lucia, un produttore che volle prendere in mano il progetto e girare nuovamente il film, ma con un budget alto ed una distribuzione importante. Dopo incredibili entusiasmi, però, alcuni investitori si tirarono indietro ed il progetto di rigirare il film con mezzi che l’avrebbero reso una pellicola competitiva a livello internazionale si arenò. E’stato come interrompersi un istante prima dell’orgasmo, anche perché Routine era veramente diverso da tutto quello che c’era in Italia in quel momento e poteva diventare qualcosa di grande.

Nella tua carriera hai anche interpretato ruoli comici, come protagonista di sit com, o con il personaggio di Brenno nel film Pipi Room di Jerry Calà. Ma anche ruoli più impegnati. Nel  2009 sei stato annunciato  in numerosi articoli usciti sulle principali testate nazionali come protagonista del film sulla Strage di Bologna, con Lino Capolicchio e Luca Ward; l’anno prima hai partecipato al progetto Human Right of All, diretto da registi del calibro di Veronesi, Luchetti, Montaldo e Maselli. Preferisci interpretare ruoli comici o drammatici?

Il genere è indifferente. A colpirmi devono essere il personaggio, la storia e lo stile del regista. I personaggi comici comunque sono quelli più difficili da interpretare.

 Quest’anno sei stato contattato da un produttore di Hong Kong per un progetto cinematografico internazionale. Puoi raccontarci qualcosa?

Ho conosciuto questo imprenditore durante un recente viaggio in Asia, e non so per quale bizzarra coincidenza conosceva il mio lavoro ed ha voluto coinvolgermi in alcuni progetti in sviluppo, che devo dire mi hanno incuriosito, anche perché il contesto è completamente differente dal nostro. Ma per il momento non posso anticipare nulla..

Parlando della tua intensa esperienza teatrale:  sei stato Syd Barrett, protagonista nonché unico attore, in scena con nove ballerine, in un musical dedicato al mitico leader dei Pink Floyd;  San Giovanni nel Vangelo Secondo Giovanni di Giuliano Vasilicò; un bizzarro narratore e musicista nel Mago di Oz di Giancarlo Nanni, una delle ultime opere del grande regista scomparso, di cui hai anche composto ed arrangiato tutte le musiche;  il Giulio Cesare di Roberto Marafante ai Fori Imperiali, e poi di nuovo l’interpretazione del Marco Antonio e di Andersen in un centinaio di date per un importante progetto di teatro e archeologia del Ministero dei Beni Culturali. Preferisci recitare davanti ad un pubblico o davanti alla macchina da presa?

Sono due forme diverse della stessa arte, le amo allo stesso modo. Credo che un attore bravo e completo possa eccellere in entrambe, anche se richiedono uno stile ed un tipo di training  differente. Recitare una scena cinematografica è come correre i cento metri, recitare uno spettacolo è una maratona. Posso dirti che in teatro è più facile ingannare il pubblico che è lontano molti metri da te. Se reciti a teatro e non sei completamente dentro alla scena e al personaggio, ma hai una buona tecnica, il pubblico lo potresti ingannare. Al cinema  è impossibile: la macchina da presa è un microscopio. Il primo piano  è in grado di leggere ogni più piccola sfumatura che il tuo pensiero produce. A teatro puoi anche limitarti a recitare, nel cinema devi “essere”.

Come crei la scena ed il personaggio? Sei un attore di “metodo”?

Ho studiato a fondo il Sistema Stanislavskj, il Metodo Strasberg con insegnanti dell’Actor’s Studio di Los Angeles, la tecnica di Michail Cechov e la biomeccanica teatrale con Gennadi Bogdanov. Dopo più di dieci anni di studi e approfondimento, credo che i vari metodi ti forniscano solo una cassetta degli attrezzi da cui attingere. Ho girato un po’ il mondo per studiare con quelli che ritenevo fossero i maestri migliori. Ho studiato le neuroscienze, mi sono anche specializzato, certificandomi negli Stati Uniti, in ipnosi e PNL, per approfondire le mie conoscenze nel campo del comportamento umano. Ho integrato questo alla recitazione,  ai metodi precedentemente studiati. Ho applicato il tutto sul campo. E credo di aver assemblato, in questo modo, un metodo originale,  che funzioni per me.

Negli ultimi anni hai girato l’Italia tenendo seminari ed eventi formativi.  Oltre che su te stesso, utilizzi questo metodo anche sugli altri, nella tua attività di formatore?

Il mio lavoro come formatore è basato sull’integrazione delle tecniche dell’attore all’ipnosi, alla PNL e ad altre discipline orientali meno conosciute. Utilizzo questi modelli sia come acting coach, con l’obiettivo di liberare e canalizzare il talento degli artisti, sia nei seminari che tengo in tutta italia, aperti a chiunque voglia applicare il metodo alla vita di tutti i giorni, o ad una professione non artistica, per migliorare l’impatto della propria comunicazione su se stesso e sugli altri. Solo i grandi comunicatori possono cambiare il mondo. Lo scopo dei miei eventi formativi  è ispirare il pubblico, attraverso l’utilizzo di metafore ed il potere della  narrazione di storie, lasciando qualcosa che influisca in positivo sulla loro vita, generando un miglioramento. Nella forma, questi eventi sono molto simili ad uno spettacolo teatrale interattivo, l’unica differenza è che anziché interpretare un personaggio,  veicolo idee e cerco di entrare in contatto con l’inconscio dei partecipanti per creare un cambiamento profondo.

A chi sono destinati i tuoi corsi?

A chiunque voglia sviluppare modelli più sofisticati ed efficaci per interpretare la realtà ed interagire con il mondo.  

I tuoi prossimi progetti?

Sto portando in tournee internazionale una mia regia teatrale e nel frattempo continuo l’attività di formatore in numerosi eventi in tutta Italia. In veste di autore e regista, sto completando un altro piccolo progetto cinematografico.  Per quanto riguarda la recitazione, presto inizierò le riprese del nuovo film di Gaetano Russo:  un horror, tanto per cambiare!  Ma il progetto dovrebbe avere un cast internazionale e, opportunità rara per un horror nostrano, una distribuzione importante.

Intervista a cura di Gioia De Scalzi

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