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CIMITERIOL, BUONA LA PRIMA AL PALAZZO DELLE ARTI DI NAPOLI

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Sala gremitissima, al Palazzo delle Arti di Napoli, per la prima assoluta di Cimiterìol, corto sociale realizzato con i ragazzi ospiti dell’Istituto Penale Minorile di Airola e prodotto dall’Istituto Penale Minorile di Airola grazie al finanziamento del Ministero di Grazia e Giustizia. In apertura si sono registrati i saluti delle autorità intervenute: Alessandra Clemente, Assessore ai Giovani del Comune di Napoli; Gustavo Sergio, Presidente del Tribunale per i Minorenni di Napoli; Ornella Riccio, Magistrato di Sorveglianza del Tribunale per i Minorenni di Napoli; Giuseppe Centomani, Dirigente Centro Giustizia Minorile di Napoli; Adriana Tocco, Garante dei Diritti dei detenuti della Regione Campania; Antonio Di Lauro, Direttore dell’Istituto Minorile di Airola. Lo psichiatra e relatore Manlio Converti e Rosa Vieni, quest’ultima coordinatore area tecnica Istituto Minorile di Airola, hanno introdotto la platea alla visione del corto. Hanno assistito alla proiezione anche altri rappresentanti istituzionali, a partire dal delegato del Ministero di Grazia e Giustizia e ancora, in platea: Sandra Lonardo, il sindaco di Airola, Michele Napoletano e l’assessore dugentese Fabio Di Caprio. Ad affiancarli, la presenza dell’associazione Libera Contro le Mafie e delegazioni scolastiche. Gli interventi sono stati moderati da don Domenico Ruggiano. Applausi e apprezzamento per un corto che, come evidenziato nei vari interventi, vede la sua stessa motivazione profonda nel senso sociale del coinvolgimento primario dei ragazzi dell’Ipm.

11071614_1593674204206668_2683829429202450823_nNella sceneggiatura di Cimiterìol, scritta e voluta dalla regista Vincenza Di Caprio, persistono i temi ossessivi della violenza verbale e della morte, intenzionalmente risolti in forme eccessive, grottesche e a volte insostenibili, sgraziatamente ridicolizzati, entro un umorismo sarcastico e tagliente. L’attenzione alla dimensiona umana, in questo caso al traffico di organi, è assoggettata all’assenza di coscienza, dell’etica, dei sentimenti dell’essere vivente. I personaggi sono in bilico in mezzo all’umano e all’etereo. La Luna fa da collante fra la dimensione terrena e quella del mondo dei morti. Madre benigna verso le sue anime, guardiana devota a Dio: la sua frase in aramaico evidenzia questo legame. Di giorno si aggira tra le tombe, restituendo il silenzio calpestato poi, nell’ora buia, da chi dovrebbe invece preservare la quiete dell’inesistenza, ridiventa satellite e dall’alto, come un occhio immortale, esamina ciò che avviene.

   

Essa, narratrice (il linguaggio qui è essenziale, e deve essere più intelligente e immaginoso possibile) appare in sembianza corporea inflessibile, come un giudice imperituro della follia antropica. Slega di notte i suoi figli in un rievocato frenetico di colpe, per accompagnare colui che scruta l’immagine nella pazzia di un delitto mai commesso. Il cuore: metafora di tutto! Pasqualone, custode del cimitero, uomo senza scrupoli, immorale, d’accordo con la criminalità, rappresentata dai personaggi di Franfrillicchio e Biagio Tecnostar, delinquenti ridicolizzati dai loro stessi atteggiamenti, assoldati dalla malavita, di notte li lascia entrare nel cimitero affinché possano trafugare organi e parti anatomiche del corpo umano, per rivenderli al mercato degli organi. Il primo fantasma ad apparire a Pasqualone è un vecchio soldato. Morto di stenti nella prima guerra mondiale, reclama follemente la sepoltura del figlio assassinato a vent’anni. Pasqualone, credendo di parlare con un barbone che si è protetto nel cimitero per la notte, asseconda a tratti il suo folle racconto, poi lo lascia stare e torna dentro per dormire. Ma il vecchio soldato chiama a sé tutti gli altri fantasmi. Dopo averli invocati (la scelta registica è essenziale, poiché l’immagine e la musica creano l’effetto Felliniano), qui vengono compiuti una serie di enunciati visuali impliciti, piuttosto che le esplicite dichiarazioni verbali della Luna. Appaiono in ordine, La Giovane, personaggio che rappresenta l’innocenza dell’adolescenza, della purezza mai deturpata. Un giorno al ritorno da scuola, mentre cercava di attraversare la strada, viene investita in pieno da un camion; la sua morte è ferocemente tragica. Accanto a lei verrà seppellita l’Arpia dalla lingua mozza. Violentata in giovanissima età, le venne tagliata la lingua per non farla parlare, ma nonostante le vessazioni riuscì a denunciare i suoi aguzzini e per questo venne uccisa e fatta trovare in un pozzo.

Lo Zio L’impiccato, raffigura l’ostentazione del potere assoluto: tutto ciò che in vita ebbe lo portò alla dissoluzione della sua anima che vendette al diavolo. Quando Mefistofele reclamò ciò che aveva con lui concordato,La Luna L’impiccato non obbedì, fu trovato morto nella sua stanza da letto giustiziato al soffitto. Infine l’Artista Tradito. Per amore della sua arte venne ingannato da lei: Aspirazione assoluta verso la ricerca continua della perfezione nella bellezza. L’Arte lo rese schiavo delle raffigurazioni, tanto da indurlo al suicidio dopo averla invocata. Tutti questi folli fantasmi, visibili nella mente di Pasqualone, si alleano tra loro, formando una famiglia. Così Il Vecchio soldato diventa il padre della Giovane, L’impiccato a sua volta assume la parte sia dello zio e della madre del presunto giovane morto, a cui verrà strappato il cuore da Franfrillicchio, mentre Biagio Tecnostar scapperà per lo spavento. L’Arpia diviene la sorella maligna della Giovane, nonché il suo lato oscuro, l’Artista la parte benevola dell’Impiccato. Nella scena più forte dove appaiono in simposio i fantasmi in cui tutti si parlano e si colpevolizzano l’uno contro l’altro di un delitto feroce, commesso dagli essere viventi, mostrano la capacità di coinvolgere concetti e astrazioni sconvolgendo completamente la parola e quello che ne rappresenta.

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