TEATRO

Il mito di Orfeo – Angela Ricci compagnia teatrale “I Ludici”

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Figlio di Apollo (Dio del sole, del visibile, di ciò che ha una forma) e di Calliope, la musa della poesia epica. Sacerdote di Dioniso, il dio dell’umido, di ciò che nasce e si rigenera, di ciò che è volatile, mai fisso e in continua trasmutazione, Orfeo è il cantore degli dei. Con la sua musica riesce a incantare persino le ombre dei morti e lo stesso Ade. Il mito di Orfeo ed Euridice ci fa riflettere sul ruolo dell’arte e sull’apparire dei fenomeni nel continuo rigenerarsi delle forme.
Il regno di Ade e Persefone come regno della non-vita rappresenta l’antitesi della vita mondana, di ciò che appare, quindi il regno del senso totale svincolato dalla forma che lo esprime, il regno della forma prima di essere formata.. dell’ombra.
Persefone è la fanciulla, la Kore che al maschile è Koros che vuol dire anche germoglio. È la fanciulla rapita da Ade, ma è anche la regina degli inferi, che ogni anno torna alla terra recando con sé un fanciullo divino. È la regina che presiede alla formazione di ciò che appare. È l’ape regina che presiede il proprio alveare, che in ultima analisi è sempre lei stessa. È l’immagine del femminile nel suo aspetto mitico, come consacrazione del mistero che presiede il divenire. È l’incarnazione mitologica del paradosso. È il tutto senso senza una forma che necessita di sempre nuove e infinite forme per esprimersi. È la vita che si esprime nel suo continuo mutare.
Il mito di Orfeo ed Euridice è un punto chiave per l’interpretazione del culto orfico, il cui nome deriva appunto da Orfeo. Essenziale per l’Orfismo è la concezione dell’ anima e della sua necessità di trasmigrare finché non raggiunge la perfezione secondo le regole di vita rese comprensibili dal culto orfico. L’anima, che risiedeva nei cieli, compie un peccato e cade dal regno dei cieli sulla terra reincarnandosi in un corpo, che utilizza per espiare la propria colpa. Con la morte, l’anima (il daimon dei greci) trasmigra e si ricompone, non sulla base di un principio individuale ma su nuova aggregazione per qualità magnetiche, in un altro corpo che può anche non essere quello di una persona (questo dipendeva anche dal comportamento che il daimon aveva tenuto nella vita precedente: se ha espiato la colpa torna nel regno dei cieli, altrimenti si reincarna in un corpo differente). L’Orfismo addolcisce gli aspetti più cruenti del culto di Dioniso e sostituisce le danze orgiastiche, il vino e la carne, con offerte vegetali e d’incenso, accompagnate da danze e canti liturgici.
Il dramma di Orfeo ha a che vedere con la sofferenza umana per il limite e per la morte, problematiche centrali del culto Orfico. Orfeo riesce ad inoltrarsi nelle profondità del nulla e a sfidare ciò che va oltre le umane possibilità, le leggi inviolabili dell’esistenza alle quali anche gli dei devono sottostare. La leggenda narra che la sua arte era talmente alta che riesce a sovvertire la stessa inesorabilità della morte. Ade gli accorda che Euridice, ormai ombra informe, possa tornare alla luce, al visibile, e in qualche modo a “danzare” con ciò che ha forma e che muta, con gli eventi. La sua melodia incantata è riuscita in qualche modo a scardinare le regole del regno immutabile di Persephone e non è un caso che la sua arte sia la musica che gioca proprio sui ritmi e sugli equilibri… Egli ha un unico limite, non voltarsi a guardarla. In greco il termine che indica il vedere ha a che fare con il conoscere. Egli in qualche modo può riportare alla vita la sua Euridice ma non la può conoscere. Non può guardare-conoscere ciò che forse era il principio del suo viaggio alle fondamenta del conosciuto, dell’apparizione. Allora forse egli non si è voltato “per errore o per capriccio”, forse ha capito di non poter sottostare a quel patto, che la sua ricerca andava oltre Euridice e nasceva dalla volontà di possedere una verità che ella in qualche modo rappresentava ma era oltre la sua immagine, la sua presenza cosa formata, che egli la voleva riavere. Si arriva così alla domanda conclusiva: Orfeo si è voltato per poco amore verso Euridice o l’impossibilità di guardarla gli ha svelato il paradosso del patto?

   
 
 
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